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“Sono nata il ventuno a primavera
Ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta…”
(da “Vuoto d’amore”, 1991)
La sua mano trema un po’, con tenacia tiene la penna facendo attenzione ad ogni singola parola. Si guarda intorno con il suo solito sguardo sognante tenendo con la mano sinistra una sigaretta. Note di fumo, quasi un compagno di vita.
In sottofondo le note di un valzer di Chopin.
Alda nasce a Milano il 21 marzo del ’31. Dopo un primo rifiuto dal liceo Manzoni per insufficienti doti in Italiano, la sua forza non l’abbandona e compie gli studi superiori all’Istituto professionale Laura Solera Mantegazza; in contemporanea, si dedica ad una grande passione, il pianoforte.
Una donna così piena di passione non potrebbe avere altro nome, Alda Merini.
La sua è una dolce ossessione, il sentire dell’animo nella massima estensione, un sentimento complesso e completo, un’energia dirompente che si sviluppa in chi la prova.
Non tutti la provano e la incontrano nella loro vita, lei ha avuto la fortuna di sentirla dentro di sé e di raccontarla nelle sue poesie.
Giorgio Manganelli è stato per la Merini un grande maestro di stile oltre che il primo vero amore. Il ’47 è l’anno in cui si manifestano i primi sintomi di quella che sarà una lunga e complessa malattia; successivamente viene internata nella clinica Villa Turro. Nel ’50 Giacinto Spagnoletti pubblica due liriche, “Il gobbo” e “Luce”, che faranno parte di un’importante antologia, “Poesia italiana contemporanea 1909 - 1949” . Da questi componimenti si intuiscono i temi ricorrenti nella poetica dell’artista, temi erotici e mistici, luci ed ombre, il tutto amalgamato da un suo stile personale che lascerà in seguito spazio ad una poesia più passionale, intuitiva.
Dopo il matrimonio con Ettore Carniti nel ’53 e l’uscita di altre importanti raccolte poetiche, nasce la prima figlia e dedica al pediatra della bimba “Tu sei Pietro” . E poi silenzio, un lunghissimo silenzio.
Nel ’65 ecco nuovamente il manicomio, e poi nascerà con il dovuto successo “Terra Santa”, vincitrice del Premio Montale nel ’93.
La poetica di quest’opera è diversa, impregnata dall’esperienza del suo essere internata. Ecco il vero pathos, dolore e patimento, amore e piacere, sofferenza e godimento.
La sua era pazzia o il suo essere “terribilmente passionale” l’ha sempre fatta sembrare tale? Qual è il confine tra normalità e dolce follia? Ascoltando qualche sua parola in recenti interviste è lecito che io, come chissà quante persone, si domandino ciò.
Fino al ’79 l’alternanza di periodi di lucidità e follia si alternano e dopo un lungo silenzio letterario, nasce “Terra Santa”, un’insieme di liriche di un’intensità molto potente, dove la realtà lascia il posto all’idea del reale.
Alcune note del pianoforte si odono come sottofondo alle parole della Merini, mentre declama con amore alcuni versi da lei prediletti:
Silvia Ferrara
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