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I quattro Vangeli, scritti da altrettanti Apostoli di Gesù Cristo dopo la sua Ascensione al cielo, sono considerati dalla Chiesa Cattolica, dalla Chiesa Ortodossa e dalle confessioni protestanti e riformate come una trasmissione fedele di quanto effettivamente Gesù Cristo ha fatto ed insegnato sino a quando è asceso al cielo; gli autori sacri, ovvero Matteo, Marco, Luca e Giovanni, avrebbero, secondo i Canoni, scelto alcuni tra gli aspetti più significativi della vita e della predicazione del Figlio di Dio, talvolta sintetizzandoli, talaltra spiegandoli con riguardo alla situazione della Chiesa Ebraica, sia direttamente visti ed uditi che riferiti da testimoni oculari.
I primi tre vangeli sono detti sinottici, cioè simultaneamente leggibili, perché hanno in comune non soltanto lo schema generale, ma spesso riferiscono con le stesse parole identici fatti; accanto ad evidenti concordanze essi mostrano non meno palesi differenze, sia nell'ordine dei racconti che all'interno di essi.
Questi singolari fenomeni pongono il problema della relazione tra i tre vangeli, la questione sinottica variamente risolta: la Costituzione dogmatica del Concilio Ecumenico Vaticano II, esaminando la questione dal punto di vista della identificazione storica del materiale evangelico, ha sancito che non sussistono incoerenze storiche o narrative nei tre vangeli sinottici, quindi le differenze tra loro riscontrate deriverebbero esclusivamente da scelte soggettive e da adattamenti vari da parte degli autori, che comunque non hanno alterato la sostanza del messaggio, delle parole e dei fatti che ne costituiscono il quadro ed il fondamento.
La tradizione unanime delle Chiese Cristiane attribuisce il primo vangelo a Matteo ed afferma che egli scrisse il testo in aramaico, mentre l'attuale edizione italiana è la traduzione di una versione in greco antico risalente al I secolo d.C.
La parte preminente del Vangelo secondo Matteo è costituita da cinque grandi discorsi di Gesù, preceduti da un'invettiva contro i farisei, seguita dai fatti essenziali che precedettero il suo ministero pubblico e concluso dalla storia del mistero pasquale di Gesù Cristo.
Il primo Vangelo, che già gli antichi Padri della Chiesa dicevano rivolto soprattutto ai Giudei, è dominato dalla tesi che Gesù è il Messia predetto dall'Antico Testamento ed ingiustamente respinto dagli Israeliti; un'attenzione particolare è dedicata alla Chiesa fondata da Cristo su Pietro, la cui professione di fede è il tema di fondo di un Vangelo che è la sintesi della testimonianza apostolica in Palestina ed è considerato il migliore per permettere una solida e sufficiente iniziazione al mistero di Cristo.
Il Vangelo secondo Matteo si apre con la genealogia di Gesù Cristo, un lungo elenco di nomi che saldano una generazione all'altra, ove è preminente l'uso del verbo generare, e che si conclude con la nascita di Gesù, preceduta da una constatazione numerologica basata sulla ricorrenza del numero quattordici: tante le generazioni da Abramo a Davide, altrettante da Davide alla deportazione a Babilonia ed in egual numero tra la schiavitù presso i Babilonesi e la nascita di Cristo. Sin da subito il Vangelo secondo Matteo vuole collegare Gesù ai patriarchi ed all'Antico Testamento, spiegandone il rapporto mediante il vincolo di ascendenza parentale, in ogni epoca, e soprattutto in età classica e precristiana, chiaro simbolo di identità condivisa e di appartenenza ad un insieme più ampio della soggettività, inserito nella storia e suggello di un rinnovamento nella continuità.
Successivamente vengono narrate le forti perplessità di Giuseppe circa il comportamento da adottare con Maria, poiché stenta effettivamente a credere ad un'immacolata concezione, ma la sua equità e la sua bonomia lo inducono a non ripudiarla; mentre è immerso in questi pensieri un angelo gli rivela che sua moglie Maria è, per volere di Dio, incinta ma vergine, ed usa il sogno come strumento per spiegare a Giuseppe come agire, preannunciando già il futuro del figlio che nascerà da Maria come il Messia che attendono, e gli ordina di chiamarlo Gesù, ovvero Dio salva; come chiosa a questo messaggio l'angelo cita le parole del profeta Isaia che annunciava il concepimento e la nascita da una vergine di colui che sarebbe stato chiamato dai suoi seguaci Emmanuele, ovvero Dio con noi (Vangelo secondo Matteo, 1,23).
Il mistero dell'immacolata concezione, divenuto dogma nel 1854, viene quivi spiegato come volontà di Dio e ricondotta alla profezia di Isaia contenuta nell'Antico Testamento, e si presta effettivamente ad una lettura esclusivamente dogmatica, svincolata da contesti storici o filosofici, preannunciando già l'elemento caratterizzante della predicazione di Gesù, ossia l'assoluta ed incrollabile fede nel suo messaggio, diretta derivazione delle Antiche Scritture di cui egli è attuatore fattuale, intesa come imprescindibile base per approcciarsi a Dio e ad una condotta esistenziale rispettosa dei Canoni. La nascita di Gesù è subito contestualizzata storicamente, al tempo di Erode, re della Palestina in nome e per conto dell'Impero Romano che deteneva il potere sostanziale tramite la presenza dell'esercito, ed anche geograficamente, a Betlemme di Giudea; le coordinate spaziotemporali rappresentano un elemento di grande importanza per non porre anche la stessa esistenza di Gesù come un puro atto di fede, inoltre porta, per la prima volta dall'inizio del Vangelo, la vicenda sulla terra, tra gli uomini, per cercare di conferirle un'autenticità fondata sui fatti e non solo sulle credenze.
L'arrivo dei Magi, mai denominati Re Magi, seguendo una stella, definita solo stella e non cometa, inquieta re Erode presso cui erano andati a chiedere la strada per Betlemme, poiché essi proclamano Gesù Re dei Giudei (Vangelo secondo Matteo, 2,2) sulla scorta di una profezia di Michea che indicava in quel piccolo borgo la nascita del Messia; tale notizia turba Erode perché gli fa supporre che il bambino di Betlemme possa diventare un futuro usurpatore del suo trono e, premeditandone l'eliminazione fisica, chiede ai Magi di indicargli, sulla via del ritorno, il luogo esatto in cui si trova il neonato per andarlo ad adorare. Anche il Sinedrio appare seriamente preoccupato, ma non viene nominato direttamente col proprio nome, si ricorre alla frase tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo (Vangelo secondo Matteo, 2, 5-6) per indicare non l'istituzione, quanto i suoi componenti in quel momento: tale scelta letteraria pare intenzionata a voler stigmatizzare il comportamento dei membri del Sinedrio, ponendo in relazione il loro operato e la loro etica con quelli degli Antichi Padri che l'avevano istituito, in un raffronto da cui già si intravedono segnali di critica per la conduzione degli affari religiosi, teologicamente troppo severa ma troppo acquiescente nei confronti dei pagani che occupano militarmente la terra d'Israele.
Frattanto i tre Magi arrivano al cospetto di Gesù e gli offrono in dono oro, incenso e mirra: la scelta non è casuale né anomala, difatti a quell'epoca ogni re del Medio Oriente, monoteista o pagano, che si insediava sul trono riceveva quei tre omaggi, simboli di forza, giustizia e timore di Dio o delle divinità, a seconda della religione professata, doti con le quali avrebbe dovuto guidare il suo popolo. Un sogno avverte i Magi dei progetti nefandi di Erode, cosicché essi tornano in patria senza avvertirlo come promesso; anche in questo frangente la volontà di Dio ed i suoi ammonimenti si manifestano tramite il sogno, inteso come unico, vero momento di possibilità comunicativa tra divinità ed esseri umani, non mediata da sacerdoti, e quindi libera di monologare senza manipolazioni o contraddizioni per esprimere concetti ed ordini inequivocabili.
Il sogno ammonitore compare subito dopo per ordinare a Giuseppe, che prontamente esegue, di fuggire in Egitto per scampare alla ferocia omicida di Erode, e conferma ciò che è detto in una profezia di Osea: dall'Egitto ho chiamato il figlio mio (Osea, 11,1); le profezie punteggiano tutta la narrazione evangelica, non solo di Matteo, ed appaiono come prodromici frammenti del racconto della vita di Gesù, ma esposti in modo criptico, a differenza dell'estrema semplicità dei vangeli, non supportati da una pedissequa illustrazione degli eventi descritti, come hanno fatto i quattro Autori Sacri, ed avulsi da un contesto storico definito.
Intanto a Gerusalemme Erode, accortosi dell'inganno dei Magi, ordina l'uccisione indiscriminata di tutti i maschi di età pari o inferiore ai due anni per essere certo di eliminare il presunto usurpatore futuro, in quella che è denominata strage degli innocenti, ma l'unico risultato ottenuto è un'ondata di lutti e di lacrime in tutto il suo regno, come predetto dal profeta Geremia, che definisce Rama, di etimologia incerta, Gerusalemme, e chiama simbolicamente Rachele le madri israelite perché la tomba di Rachele era devotamente venerata a quel tempo presso Betlemme.
Dopo la morte di Erode un angelo apparso in sogno in Giuseppe gli ordina di tornare in Palestina perché il pericolo è cessato, indicandogli anche con estrema precisione, in una successiva apparizione onirica, il luogo esatto in cui stabilirsi, la città di Nazaret, in Galilea, affinché si adempia la profezia di Isaia per la quale Gesù sarebbe stato chiamato il Nazareno (Vangelo secondo Matteo, 2,24).
Dal terzo capitolo inizia il racconto sinottico dei primi tre vangeli, con la predicazione di Giovanni il Battista nel deserto della Giudea, profetizzata da Isaia, e l'accurata descrizione degli abiti che indossa, ulteriore segno della volontà dell'autore di dare quanti più riferimenti possibili per una comprensione non esclusivamente dogmatica e fideistica della narrazione; si racconta che gente proveniente da tutta la Giudea accorresse da lui per confessare i propri peccati e per farsi battezzare, rito sino ad allora inesistente, che avveniva mediante l'immersione nel fiume Giordano per simboleggiare, attraverso l'acqua che scorre e lava, la mondatura dei peccati e la purificazione dell'anima. Nel rito del battesimo si nota quindi la filosofia dominante del messaggio di Gesù, ovverosia la redenzione ed il ritorno sulla retta via, ma senza severe punizioni formali, bensì con la semplicità della purezza delle intenzioni e del ravvedimento che segue l'errore; tale aspetto, non riscontrabile nell'Antico Testamento, è introdotto proprio con un Sacramento non previsto dalle Leggi dei Padri Fondatori, e quindi porta un elemento di novità sostanziale, il perdono, tramite un elemento di novità formale, il battesimo, enunciati da due figure rivoluzionarie ed anomale per la religiosità israelitica, come Gesù Cristo e Giovanni il Battista.
Anche molti farisei, setta rigorosamente osservante della Legge Mosaica, e sadducei, discendenti di Zadok alquanto lassisti nei confronti della fede religiosa, vogliono essere battezzati, ma ciò provoca le ire del Battista che li definisce razza di vipere (Vangelo secondo Matteo, 3,7), rimandando all'estrema negatività, finanche demoniaca, della figura del serpente, creatura considerata immonda e malefica sin dalla Genesi, primo libro della Bibbia; il Battista accusa farisei e sadducei di voler essere battezzati per opportunismo e solo in nome della comune discendenza da Abramo, ma non per imitarne la fede, quindi, per ammonirli sulle conseguenze di una religiosità vissuta e concepita in modo solo formale, si affida alla simbologia del fuoco purificatore, risalente all'azione dello Spirito Santo e che divorerà gli empi, e rafforza l'esemplificazione con una metafora contadina: Dio pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con fuoco inestinguibile (Vangelo secondo Matteo, 3,12). Per la prima volta nei Vangeli viene espresso, anche se in forma indiretta, il principio della purezza d'animo come autentico motore delle azioni e delle loro conseguenze, contrapposto quindi ai formalismi ed alle esteriorità praticate nel culto da farisei e sadducei; sarà in seguito la predicazione di Gesù Cristo a svelare compiutamente e chiaramente tale differenza che il Battista ha solo accennato nella circostanza sopra descritta.
Anche Gesù si reca presso il fiume Giordano per essere battezzato, ma inizialmente il Battista si ritiene indegno di amministrare a lui un Sacramento, non solo quel Sacramento, ma Gesù lo convince che così si deve fare per obbedire a Dio ed adempiere al suo disegno di salvezza; Gesù viene battezzato e, mentre si trova nelle acque del fiume, scende dal cielo lo Spirito Santo sotto forma di colomba a posarglisi sul capo, accompagnata dalla voce di Dio che lo indica come figlio prediletto. In questo episodio compare la colomba, divenuta poi simbolo di pace, per l'indole mite e non cacciatrice del volatile, e di purezza, per il candore del piumaggio, che è in questo caso interpretata come messaggera di Dio, il quale si manifesta con un connotato umano, perché usa la voce, seppur tonante e proveniente dal cielo, per dare a Gesù l'imprimatur di Figlio di Dio, e ricorre ad una comunicazione orale per essere udito da quante più persone possibili e per non essere assolutamente frainteso, poiché simboli celesti, quali ad esempio il fulmine, avrebbero potuto essere travisati, mentre l'uso della voce ha diffuso un messaggio che non doveva e non poteva rimanere incompreso ed equivocato.
Il battesimo è, per Gesù, il vero e proprio prologo della sua esistenza come Figlio di Dio, difatti dopo aver ottenuto il Sacramento si sottopone ad una severa iniziazione, quaranta giorni e quaranta notti a digiuno nel deserto per saggiare la sua tenacia nel non cadere nelle tentazioni del diavolo che, proprio sul finire di tale periodo, lo provoca suggerendogli di fare miracoli che lo suggestionino, come gettarsi dal pinnacolo di un tempio per chiedere a Dio di non farsi male, ma Gesù resiste con facile noncuranza, ribattendo che Dio può tutto, allora viene tentato con ambizioni di potere, come la sovranità sul mondo intero in cambio della sua adorazione, ma Cristo continua ad opporre un'imperturbabile fede con cui rifiuta sdegnosamente il patto; vista l'impossibilità di farlo cadere nella sua trappola, il diavolo scompare e compare un gruppo di angeli. L'incontro tra Gesù ed il diavolo nel deserto si svolge attraverso un dialogo serrato in cui Cristo controbatte al demonio con tre principi tratti dal Deuteronomio in cui è sostanzialmente detto che la fede incondizionata in Dio supplisce a tutte le carenze e pone rimedio a tutti i problemi, enunciando quindi a chiare lettere il principio della divina provvidenza come dogmatica emanazione della volontà di Dio che, essendo innanzitutto misericordioso, aiuta e soccorre chi gli dimostra un'autentica fede; da questo episodio scaturisce un'altra importante tematica della predicazione di Gesù, la misericordia, che diverrà poi il concetto dominante delle sue parabole. Il dialogo tra Gesù ed il diavolo è narrato come puro atto di fede, difatti non è ricollegabile a nessuna particolare circostanza storica, debolmente contestualizzato dal punto di vista di geografico e, stando al racconto, avvenuto in assenza di testimoni, per cui si suppone che l'Apostolo Matteo abbia appreso l'episodio da Gesù stesso ed abbia riportato per iscritto la sua narrazione.
Dopo aver appreso che Giovanni il Battista è in carcere per aver battezzato la figlia di re Erode Antipa, discendente dell'Erode che voleva ucciderlo, Gesù si reca a Cafarnao, città galilea sul lago di Tiberiade, perché si adempisse ciò che aveva profetizzato Isaia, ovvero la conversione delle genti di Galilea, territorio confinante con province imperiali abitate da pagani, quindi molto importante per la diffusione del messaggio di Cristo, in quanto porta d'accesso ad un futuro proselitismo rivolto ai politeisti; la predicazione in Galilea introduce, seppur implicitamente, il tema del Verbo di Dio portato a tutte le genti del mondo, non solo quindi al popolo eletto, quello d'Israele, come invece pensavano i farisei e come l'Antico Testamento lascia presagire. Ciò quindi inserisce un connotato geopolitico all'interno della narrazione evangelica, poiché apre la strada alla prospettiva di una cristianizzazione dell'intero Impero Romano, ovvero la quasi totalità del mondo allora conosciuto, e lascia intravedere un profondo cambiamento, seppur in un lontano futuro, del modus vivendi e degli assetti politico-filosofici dell'impero, mettendo al tempo stesso gli Israeliti in un ruolo di marginalità all'interno del contesto religioso futuro, dominato dal cristianesimo, perché, senza essere più il popolo eletto da Dio, saranno una confessione religiosa minoritaria, o, se tutti aderissero al nuovo credo, un popolo come tanti all'interno di un vasto e multiforme impero.
A Cafarnao Gesù incontra due fratelli pescatori, Simone, detto Pietro, ed Andrea, mentre stanno pescando, e chiede loro di seguirlo per divenire pescatori di uomini; poi fa altrettanto con Giacomo e suo fratello Giovanni, anch'essi pescatori, ottenendo così i suoi primi quattro Apostoli, con i quali percorrere tutta la Galilea, predicare la lieta novella, in greco eu vangelia da cui vangelo, e guarire gli infermi. Appare non casuale, almeno dal punto di vista simbolico, la scelta di quattro pescatori, poiché appare evidente ed immediata la metafora di chi, abituato a pescare pesci, può diventare un attrattore di persone, con la rete che si identifica nella parola di Dio, anche per sottolineare che Dio, come una rete, comprende in sé il mondo e tutto ciò che in esso vive, per cui la sua parola è onnicomprensiva rispetto ad ogni possibile problema o questione delle umane genti, e la sua volontà è onnipotente, per cui, similmente ad un pesce in una rete, nessun uomo può sfuggirle.
Poiché le folle che lo seguono divengono sempre più numerose, Gesù sale su una montagna e pronuncia il cosiddetto Discorso della montagna (Vangelo secondo Matteo, 5,1), noto anche come Discorso delle beatitudini, in cui elenca quali categorie di persone, in base ai loro comportamenti, saranno beate ed entreranno di diritto nel regno dei cieli: tutti coloro che agiranno con carità, giustizia, timore di Dio, concordia e purezza d'animo diventeranno esempi di rettitudine da seguire e quindi meriteranno una ricompensa oltremondana, mentre gli empi, che saranno additati come esempi di perdizione e perversione da non imitare, saranno considerati irrilevanti e marginali agli occhi del Signore; il discorso si chiude con l'affermazione di un'unità concettuale e religiosa tra l'Antico Testamento e la predicazione di Gesù, che si autodefinisce continuatore delle antiche leggi e della tradizione mosaica, nonché attuatore concreto delle medesime.
Il Discorso della montagna (Vangelo secondo Matteo, 5,1) è linguisticamente semplice, basato sul rapporto causa-effetto tra comportamenti terreni e beatitudine ultraterrena, ossia l'accesso al regno dei cieli, ed è caratterizzato dalla presenza di due grandi metafore: il sale della terra, ovvero i probi che rendono degno il genere umano di avere la sovranità su tutte le creature viventi, e la luce del mondo, ossia il buon esempio che chi segue la Legge di Dio dà a coevi e posteri, indicando la strada da seguire; poco spazio è dedicato ai trasgressori della suddetta legge, e la loro pena sembra soltanto essere quella di essere considerati anime minime agli occhi del Signore, concetto di cui non viene spiegato, né implicitamente suggerito il significato; la maggior parte del discorso è riservata ai timorati di Dio ed ai frutti che coglieranno nel regno dei cieli, e questa profondamente diseguale divisione dello spazio testuale sembra da intendersi come un messaggio di speranza nei confronti dell'umanità, composta più da probi che da empi e destinata ad un cammino di elevazione spirituale in cui i peccatori non redenti rappresentano un'esigua minoranza a cui la misericordia di Dio non riserva terribili flagelli, ma solo una non chiarita marginalità nel regno del cieli, non spiegata forse perché una vera e propria pena non esiste, presentando quindi una visione rassicurante, intrisa di pietà e compassione, diametralmente opposta all'Antico Testamento che parla più dei violatori della fede che dei suoi seguaci, prevede dure pene ultraterrene per loro e preconizza un sicuro ed ineluttabile tradimento da parte degli Israeliti verso Dio.
Il Discorso della montagna (Vangelo secondo Matteo, 5,1) prelude ad un'approfondita spiegazione dell'applicazione pratica dei Dieci Comandamenti, in particolar modo ci si sofferma sulla valutazione del rispetto della Legge non soltanto riguardo agli atti esteriori e rituali, ma sulla purezza delle intenzioni e degli intendimenti che li determinano, sottolineando come i precetti contenuti nelle Tavole della Legge nascano per educare gli animi e le menti, prima ancora che per regolare la civile convivenza, il rapporto umanità-Dio e punire i trasgressori; in questa chiosa di Gesù alla Legge Mosaica viene abolita la legge del taglione, occhio per occhio, dente per dente (Deuteronomio, 19,21) e sostituita dalla legge evangelica della misericordia e della pietà, che non tradisce, ma supera la giustizia, confermando gli accenti compassionevoli del Nuovo Testamento. Gesù, quindi, non mette in discussione l'impianto formale dei Dieci Comandamenti, ma dà, per la prima volta nelle Sacre Scritture, importanza all'aspetto sostanziale degli stessi, sia in merito all'applicazione pratica che al metro di giudizio da adottare, da lui visto come valutazione delle intenzioni prima ancora delle mere azioni o delle vacue parole, perché queste non corrispondono necessariamente ad una volontà analoga o ad un pensiero ad esse coerente.
Di seguito a ciò Gesù espone alcuni precetti inerenti vari aspetti della pratica della culto, invitando a non ostentare la pratica dell'elemosina, della preghiera e del digiuno, ma a condurli con sobrietà, in quanto atti che non devono soddisfare una pubblica esigenza di visibilità o un opportunistico tornaconto personale, ma essere offerti a Dio spontaneamente e genuinamente; per regolamentare le orazioni, Gesù introduce il Padre Nostro come unica preghiera in cui condensare la santificazione di Dio, la richiesta di sostentamento quotidiano e la remissione dei peccati, ovverosia i tre aspetti principali che possono interessare un battezzato, ammonendo tutti sull'incompatibilità tra la fede in Dio e l'avidità, esemplificati come due padroni dello stesso servitore in perenne conflitto d'interessi tra loro. La parola Mammona con cui viene identificata l'avidità e la traduzione italiana di Mammon, un'antica divinità della ricchezza fenicia, proprio per sottolineare con forza, attraverso il ricorso alla figura di un idolo pagano incompatibile con la tradizione religiosa israelitica, come Dio rappresenti la negazione della cupidigia, poiché essa fa diventare la ricchezza un fine, e non un mezzo, e come tale diviene una sorta di divinità oggettualizzata a cui consacrare la vita.
Altre spiegazioni circa l'interpretazione fattuale dei Dieci Comandamenti riguardano la proporzionalità del metro di giudizio tra chi giudica e poi deve venire a sua volta giudicato, la reciprocità e la scambievolezza tra dare ed avere, il monito a non scegliere la via più facile perché conduce alla perdizione e l'attenzione nel valutare le persone per ciò che fanno e non per ciò che dicono; questi concetti sono espressi tramite la concatenazione di rapporti duali di causa-effetto, spiegati attraverso metafore contadine di nitida comprensione per gli eruditi come per gli analfabeti, in linea con l'ideale di universalità che è sotteso a tutta la predicazione di Gesù.
Dopo essere sceso dal monte, Gesù guarisce un lebbroso, compiendo così il primo miracolo, poi incontra un centurione che gli chiede di guarire un servitore, ma si proclama indegno di farlo entrare in casa sua perché pagano, perciò gli chiede di ordinargli di dire al servitore di guarire, certo che egli guarirà, poiché la fede che entrambi ripongono in lui è incondizionata: tale testimonianza di devozione assoluta viene pubblicamente elogiata da Gesù che predice una conversione massiva delle genti di tutto l'Impero Romano, devote al paganesimo al di fuori della Palestina.
A questi due miracoli di guarigione ne segue un altro, quello della suocera di Pietro, successivamente un altro prodigio si verifica mentre Cristo e gli Apostoli sono in navigazione sul lago di Tiberiade, improvvisamente sferzato da una violentissima tempesta, sedata con apparente calma e facilità dallo stesso Gesù su accorata richiesta di Pietro. Dopo essere giunti a riva, gli Apostoli ed il Redentore hanno la strada sbarrata da due indemoniati usciti dai loro sepolcri che lo pregano di tramutarli in maiali: Gesù esaudisce la richiesta ed avviene la trasformazione dei corpi, ma i due indemoniati, dopo essersi uniti ad un branco di maiali già presenti in loco, iniziano a correre verso il lago e vi si gettano dentro, annegando. Con questo gesto di forte suggestione psicologica Gesù ha voluto mostrare che la salvezza di un anima vale più di qualsiasi animale, elemento di sostentamento economico assai importante a quell'epoca, e che tutto è possibile e fattibile per ottenere la redenzione umana.
Dopo ulteriori miracoli ed aspre critiche da parte degli scribi che lo accusano di bestemmiare, Gesù recluta tra i suoi Apostoli il pubblicano, oggi si direbbe esattore, Matteo che, dopo aver semplicemente udito l'invito a seguirlo a lui rivolto da Cristo, abbandona il suo lavoro per unirsi al gruppo dei suoi discepoli; questo episodio fa indignare i farisei, per i quali un esattore è indegno di unirsi a chi predica in nome di Dio per poi farlo a propria volta, perché un pubblicano è al servizio del governo imperiale romano, quindi dei pagani che hanno invaso la Palestina e la occupano militarmente, nonché ha il denaro come base del proprio lavoro, quindi è visto come una persona che quotidianamente compromette la propria integrità morale con la ricchezza, anche se altrui e non propria, demoniaca ed inconciliabile alternativa a Dio. Gesù risponde all'obiezione con la parabola del medico, che cura i malati e non i sani, per indicare che la sua azione redentrice è diretta a coloro che hanno smarrito la retta via ed è priva di pregiudizi, sottolineando ulteriormente il tema di fondo della misericordia e della pietà che intride i vangeli.
Un'altra accusa dei farisei è l'assenza del digiuno dal modus vivendi di Gesù e dei suoi discepoli, ma egli ribatte con tre chiare metafore: quella del banchetto nuziale, dove non si porta il lutto per lo sposo con lo sposo presente, del pezzo di stoffa grezza, che messo su un pregiato abito per un rammendo allargherà invece lo squarcio, e del vino nuovo, che messo in otri vecchi provocherà la loro rottura e la sua fuoriuscita con conseguente dispersione a terra; da ciò si vuol far desumere con semplicità che il digiuno cristiano è una pratica di purificazione da osservare convintamente ed in occasioni particolari, e non un vacuo rituale da compiere per pubblica esibizione o prescrizione liturgica aprioristica.
Raggiunto il numero di dodici discepoli, Gesù ordina loro di predicare esclusivamente, finché egli sarà in vita, in Palestina, senza contaminarsi con i pagani ed i Samaritani, visti come miscredenti e disonesti, li investe della facoltà di guarire gli infermi, purché senza ricompense, e li manda a predicare la lieta novella come pecore in mezzo ai lupi (Vangelo secondo Matteo, 10,16), poiché già conosce le atroci persecuzioni che subiranno, armati della sola fede in Dio in mezzo a pagani ed a compatrioti ortodossi all'Antico Testamento, ma li conforta dicendo che chi li seguirà starà seguendo l'insegnamento del Figlio di Dio, quindi ogni anima che riusciranno a salvare sarà da considerare come un momento importantissimo nel disegno complessivo di redenzione universale.
Mentre è detenuto in carcere, Giovanni il Battista manda a chiedere a Gesù se egli è il Messia, in aramaico colui che deve arrivare (Vangelo secondo Matteo, 11,3), ed ottiene una risposta indiretta che lo invita a riflettere sui miracoli e sulle opere concrete che ha compiuto, per far comprendere che il Messia tanto atteso non è un condottiero che libererà la Palestina dall'invasore romano, come molti erroneamente pensano, bensì è colui che cercherà di redimere un popolo allontanatosi da Dio con i suoi comportamenti, prima di riuscire, anche se non personalmente, ad estendere tale pratica a tutto il mondo allora conosciuto.
Gesù poi lancia un severo monito a quelle città i cui abitanti lo hanno accusato di accogliere tra i suoi seguaci la feccia della società, indicando subdolamente che anche egli ne faccia parte, perché è per loro vicina la possibilità di essere distrutte da Dio come Sodoma e Gomorra, atavici emblemi degli esiti catastrofici a cui porta la perdizione e l'inimicizia verso Dio, aggravata in questo caso dal non voler ascoltare le parole di Gesù che sono emanazione della volontà divina, perciò le città che ammonisce si macchierebbero di una doppia negazione della parola di Dio Padre, la prima nei confronti di quanto enunciato nell'Antico Testamento, la seconda riguardo all'insegnamento cristiano che è teso proprio a riportare l'umanità verso il Creatore.
Mentre l'astio dei farisei cresce esponenzialmente, Gesù racconta le prime cinque parabole, ossia semplici metafore legate alla vita contadina, comprensibili a tutti gli strati della società per la loro derivazione dalla vita reale, necessarie per un culto popolare indirizzato a coloro che non vogliono credere a Cristo sulla base di formule teologiche non intelligibili, ma chiedono spiegazioni che soddisfino l'esigenza di una comprensione profonda non del mistero di Dio, ma del motivo per cui la fede deve essere incondizionata. La parabola del seminatore, che parla di semi dispersi lungo il cammino e non germogliati a differenza di quelli piantati nel giusto terreno, simboleggia l'impossibilità dell'insegnamento cristiano di raggiungere tutte le anime, perché alcune continueranno a rimanere sulla via della perdizione; la parabola del buon grano e della zizzania, che racconta di un bieco nemico andato per dispetto a seminare zizzania in mezzo ad un campo di grano, cosicché la pianta cattiva, la zizzania, cresce in mezzo al grano, evidente riferimento alla coabitazione nel mondo di puri ed empi da non giudicare aprioristicamente, ma da discernere con molta attenzione, così come faranno i contadini al momento della mietitura, quando estirperanno la zizzania per bruciarla e coglieranno il grano da mettere nel granaio. La parabola del granello di senapa, dove un microscopico seme di legume che dà poi vita ad una pianta gigantesca, identifica la Chiesa che, partita da umili origini, avrà un rigoglioso sviluppo ed un luminoso futuro; la parabola del lievito, messo nella farina perché questa fermenti ed aumenti di volume, vuole indicare che la parola di Dio si diffonderà ovunque nel mondo. La parabola del tesoro nascosto, che narra di un uomo che trova un tesoro in un campo e decide di acquistare l'intero campo convinto che troverà altre ricchezze, vuole indicare che il regno dei cieli è una meta preziosa, semplice da conquistare se si è muniti di una pura fede; la parabola del mercante di pietre preziose, in cui un mercante di pietre ne vede una più preziosa di tutte quelle che abbia mai visto e la acquista senza badare a spese, riferisce che l'accesso al regno dei cieli è un obiettivo da perseguire con tutte le proprie forze perché fondamentale. La parabola della rete da pesca, ove si dice che ogni pescatore quando tira su la rete divide i pesci commestibili e commerciabili da quelli che non lo sono, rimanda al giorno del giudizio universale, quando l'umanità verrà divisa nettamente tra puri ed empi.
Tutte queste parabole vogliono dimostrare che il percorso di salvezza proposto da Gesù è l'abbandono di una via vecchia ed errata per accedere ad un modus vivendi radicalmente differente, facile da compiersi con l'adesione spontanea alla fede, senza precondizioni o fini di arricchimento e prestigio terreni, ed alla fine del mondo avverrà sempre la distinzione tra chi ha seguito la parola di Dio e chi l'ha tradita.
La forza della fede e della preghiera vengono evidenziate sia durante la moltiplicazione dei pani, in cui Gesù crea con la sua sola parola tutte le pagnotte necessarie per sfamare la moltitudine che sedeva alla sua mensa partendo da due soli pezzi disponibili, che con la sua passeggiata sulle acque, fatta poi compiere anche a Pietro; entrambi gli episodi esaltano il valore e la potenza della preghiera detta con autentica fede in Dio che tutto può risolvere, intesa come mezzo per ottenere ciò di cui si ha realmente bisogno, ma non il superfluo, poiché è uno strumento di salvezza voluto dal Creatore e non una pratica che, portando vantaggi personali ingiustificati, sarebbe da considerarsi di matrice demoniaca.
Dopo le accuse dei farisei che lo rimproverano di non lavarsi le mani prima di mangiare, come prescritto dalle Antiche Leggi, Gesù replica con l'esempio della bidirezionalità del flusso della bocca: ciò che vi entra, il cibo, verrà digerito, indi evacuato e disperso nelle fogne, mentre ciò che ne esce, le parole, rimangono impresse nelle menti e nei cuori, perciò bisogna essere estremamente attenti all'assennatezza di parole ed azioni piuttosto che ad una manieristica e pedantesca, ma non convinta, osservanza di norme e regolamenti. Il dibattito prosegue con i farisei che chiedono di vedere un segno divino per riconoscere in Gesù il Figlio di Dio, ma egli continua a ripetere che la fede non ha bisogno di segni tangibili, ma di purezza d'animo, poiché trascende dal mondo materiale e proietta se stessa nella dimensione spirituale che non necessita di contrassegni esteriori.
A seguito della domanda: voi chi dite che io sia? (Vangelo secondo Matteo, 16,15), Pietro risponde: il Figlio di Dio vivente (Vangelo secondo Matteo, 16,16) e con ciò dimostra di aver compreso l'aspetto fideistico della dottrina cristiana, contrariamente ai farisei, perché crede senza aver bisogno di vedere connotati dimostrativi; la sua pronta comprensione del mistero di Gesù gli varrà la qualifica di vicario di Cristo in terra quando il Maestro verrà crocifisso, un legame soprannaturale così solido e resistente da far usare per l'esemplificazione un materiale, il più duro da lavorare all'epoca in Palestina, come la pietra: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa (Vangelo secondo Matteo, 16,18). Questo annuncio è il preludio alla profezia della passione, intesa nell'accezione greca di sofferenza, dove Gesù stesso prevede di essere condannato a morte e di resuscitare tre giorni dopo per ascendere al cielo; in questa profezia viene introdotto il simbolo di martirio della croce per esplicare, non la sua morte o lo strumento su cui avviene, ma il fardello spirituale che gli Apostoli dovranno sopportare dopo la sua scomparsa, perché saranno, sulla terra, soli nel portare la lieta novella, ed armati unicamente della fede. La croce quindi assurge a simbolo di un'eredità morale dolorosa e pesante, che condurrà i suoi portatori alla sofferenza, ma che è necessaria per l'adempimento della superiore volontà divina, divenendo quindi un mezzo attraverso cui far giungere la salvezza, in una singolare contrapposizione tra il sacrificio mortale della croce stessa e la salvezza eterna di chi a quel messaggio che ha portato alla crocifissione ha creduto.
Sei giorni dopo avviene la trasfigurazione di Cristo, con il volto di Gesù che splende più del Sole e le sue vesti che divengono completamente candide, mentre i Patriarchi Mosè ed Elia si materializzano accanto a lui ed una densa nube in transito nel cielo annuncia che Gesù è il Figlio di Dio e come tale va ascoltato; questo scenario vuole essere un segno palese ed inequivocabile della divina origine di Gesù, come incarnazione della volontà di Dio Padre che scende tra gli uomini per avvicinarli, attrarli e ricondurli al Creatore da cui si erano allontanati, un Padre che anche in questo caso si manifesta con una caratteristica umana quale la voce, anche se utilizza un elemento naturale, la nuvola, come materializzazione del suo passaggio e della sua presenza. Viene inoltre aggiunto che un cammino similare a quello di Gesù l'ha compiuto il profeta Elia, tornato sulla terra come Giovanni il Battista e condannato anch'egli al martirio, però per decapitazione, nonché ad un ruolo fondamentale nel processo di diffusione della lieta novella, poiché ha portato il battesimo che cancella il peccato originale che grava su ogni essere umano, aprendo così la strada alla salvezza ed alla redenzione che Cristo propone e che sarebbe inconcepibile con un peccato che già occupa l'animo prima ancora di poter commettere azioni.
Gesù indica in un bambino scelto a caso tra la folla il più grande nel regno dei cieli (Vangelo secondo Matteo, 18,1), per significare che l'umiltà è la dote che dischiude le porte dell'anima al messaggio di Cristo, perché solo essa può portare all'accettazione fideistica di una dottrina basata sul buon esempio e sulla purezza d'animo, contrapposta a schematizzazioni rituali manieristiche.
Viene quindi enunciata la celebre parabola della pecorella smarrita, nella quale un pastore avente cento pecore ne smarrisce una, allora lascia sul monte dove stanno pascolando le altre novantanove per avventurarsi a cercare la transfuga: tale parabola introduce due importanti tematiche a corollario dell'onnipresente tema della misericordia, cioè la correzione fraterna, inteso come recupero senza pregiudizio di chi smarrisce la retta via, ed il perdono cristiano, concepito come remissione dei peccati alla sola condizione del pentimento, mentre, come insegna la successiva parabola del servitore spietato, nel regno dei cieli il perdono e la grazia vengono accordati da Dio solo a chi fa altrettanto sulla terra con i propri fratelli, altrimenti si ricade nella metafora del servitore che supplica il suo padrone di condonargli un debito ma non fa altrettanto con il proprio debitore; la presenza di parole come debiti e debitori nella narrazione è un fortissimo richiamo alla realtà quotidiana, teso a dare la massima intelligibilità ad un tema così importante nella dottrina cristiana come il perdono.
Un altro episodio molto significativo nel rapporto tra Dio ed esseri umani, è la celebre iperbole: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli (Vangelo secondo Matteo, 19,26) rivolta al giovane ricco che chiede a Gesù come può accedere al regno dei cieli; in questa frase si ribadisce innanzitutto l'incompatibilità tra avidità e fede, poiché la prima è demoniaca e la seconda divina, ma il concetto fondamentale che viene espresso è quello dei limiti invalicabili della natura umana, la quale pecca , come un ricco avido, perché la sua intrinseca debolezza la porta a non riuscire a non farlo, mentre per Dio tutto è possibile, così come gli sarebbe possibile far passare un cammello per la cruna di un ago.
Gesù poi ribadisce i sei cardini fondamentali su cui un battezzato deve basare la propria vita per ottenere la vita eterna: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onorare il padre e la madre, amare il prossimo tuo come te stesso (Vangelo secondo Matteo, 19, 18-19); questi sei Comandamenti rappresentano i principi su cui si edifica il messaggio cristiano, in cui la misericordia e la pietà sono rivolte a tutti coloro che non recano danno, morale e materiale, ai propri simili, e quindi liberano la grazia divina dai formalismi propri della Legge antica per puntare più semplicemente ad educare alla civile convivenza ed alla pacifica coesistenza. Gesù sembra voler dire che il rispetto dei sei Comandamenti succitati genera quasi automaticamente l'osservanza degli altri quattro, poiché la fede e l'amore per il prossimo sono le uniche caratteristiche veramente indispensabili ad un cristiano per poter avere accesso al regno dei cieli. Questa visione misericordiosa, che predilige l'aspetto sostanziale su quello formale, è sottolineato dalla parabola degli operai, in cui chi ha lavorato nella vigna per un'ora sola, perché reclutato per ultimo, ha la stessa paga di chi, assunto per primo, ha lavorato dieci ore: gli ultimi saranno i primi (Vangelo secondo Matteo, 20,16), poiché agli occhi di Dio la redenzione è sempre possibile e sempre preziosa, indipendentemente da quanto e come matura, l'aspetto fondamentale è l'autenticità della conversione.
Dopo essere entrato umilmente a Gerusalemme in sella ad un'asina, come un povero e non come il Figlio di Dio, Gesù racconta la parabola dei due figli, in cui uno dei due viene mandato dal padre a lavorare nella vigna e non ci va, mentre il secondo prima imita il fratello, poi ci ripensa ed esaudisce la richiesta paterna: ciò inneggia al valore del pentimento che riscatta totalmente e senza preconcetti il passato, per costruire un futuro radicalmente diverso. Sulla stessa linea è la parabola dei vignaioli perfidi, che rifiutano di consegnare al padrone del terreno il raccolto ed uccidono i suoi inviati, finanche suo figlio, sicché il padrone fa uccidere i due vignaioli e li sostituisce con altri: è una chiara quanto truce esemplificazione del fatto che molti pagani convertiti entreranno nel regno dei cieli, mentre molti Israeliti, nonostante appartengano al popolo eletto da Dio, ne saranno esclusi perché comportatisi con empietà. Anche in questa parabola è presente una vigna che richiama l'attività di vignaiolo, o di primo vignaiolo in assoluto, del Patriarca Noè, quindi mantiene un legame concettuale, attraverso l'attività vitivinicola, tra gli Antichi Padri ed i discendenti, tutti facenti parte del medesimo popolo ma non altrettanto vicini a Dio, anzi in una direzione quasi opposta.
Gesù vede poi un fico senza frutti e lo maledice, affinché non ne produca mai più: dopo le sue parole il fico inaridisce immediatamente; l'iperbole sottolinea l'efficacia della preghiera sostenuta da una fede ardente, ma lascia intravedere nell'immagine del fico il popolo d'Israele che, negando la parola di Gesù, va a negare la parola di Dio. Sempre in merito alla potenza della preghiera e della fede è il suo successivo esempio in cui afferma che, solo con essa, si potrebbe far muovere anche la collina di Sion.
Nella parabola delle nozze regali gli invitati ad un pranzo nuziale disertano il banchetto ed offendono pesantemente gli inviati del padrone di casa che chiedono loro perché non sono venuti, cosicché vengono prese a caso alcune persone per strada al fine di sostituire gli invitati assenti, ma una persona si presenta sprovvista dell'abito di prammatica per tale cerimonia e viene cacciato via: questa parabola vuole essere un ammonimento a chi respinge la parola di Cristo, considerandola non autentica, perché sta respingendo anche la parola di Dio, ma anche a chi, come i pagani, nega in toto sia l'Antico Testamento che il nuovo insegnamento cristiano che lo completa e lo compendia.
Successivamente Gesù viene interrogato in merito alla liceità del pagamento dei tributi ai funzionari imperiali romani, ed egli risponde: a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio (Vangelo secondo Matteo, 22,21); si tratta di un capolavoro di diplomazia, poiché una risposta affermativa l'avrebbe additato al popolo come sostenitore di un imperatore pagano ed invasore, mentre una risposta negativa sarebbe servita come accusa presso l'autorità romana per sedizione. Inoltre il messaggio che traspare da queste parole è indirizzato a tenere separata la politica e la finanza dagli affari religiosi, poiché il potere ed il denaro sono nemici acerrimi della fede e soprattutto della purezza d'animo su cui si incardina la lieta novella del Redentore.
Mentre si avvicina il momento della sua dipartita, Gesù racconta le sue due ultime parabole: la parabola delle vergini savie e delle vergini stolte riferisce di dieci vergini che devono andare incontro al rispettivo futuro sposo, ma cinque partono con lampade ed olio, le altre con le sole lampade, per cui, dopo il tramonto, chi ha l'olio con sé può accendere le lampade ed andare avanti, chi ne è sprovvisto deve tornare indietro a prenderlo, così, giunta mezzanotte, le vergine savie, che si erano munite di olio per le lampade, sono già in casa dei rispettivi futuri sposi, le altre invece arrivano a destinazione quando la porta è già chiusa per la notte; ciò vuol significare che il giorno del giudizio potrebbe arrivare da un momento all'altro, quando non lo si aspetta, ed è fondamentale trovarsi col cuore puro, rischiarato dalla luce, che è la fede, della lampada, cioè Dio. La parabola dei talenti invece narra di un padrone che affida del denaro a tre suoi servitori, due di essi lo investono e lo fanno fruttare, mentre il terzo lo sotterra in un campo, perciò, quando il padrone ritorna, ai servitori industriosi verrà lasciato il denaro che hanno ricavato dall'investimento, oltre a quello dato in origine, invece al servitore ignavo viene tolto tutto e dato agli altri due; questo è un invito a far fruttificare le doti che ognuno di noi ha, in questa accezione evidentemente ricevute da Dio, a beneficio altrui e proprio, perché la crescita personale, se utilizzata correttamente e lecitamente, può essere un fattivo contributo al progresso sociale.
Intanto il Sinedrio cospira contro Gesù, lo vuole arrestare e condannare a morte, in una singolare consonanza di interessi tra autorità religiose israelitche e funzionari imperiali romani, difatti le prime vogliono eliminare colui che mette in discussione la loro autorità morale, mentre i secondi temono che Cristo possa sobillare alla rivolta contro l'impero; tramite la corruzione dell'Apostolo Giuda Iscariota, comprato con trenta denari, si perfeziona un piano puntualmente descritto da Gesù durante l'ultima cena. Quivi Gesù istituisce il Sacramento dell'Eucaristia, Sacramento, perché c'è il rito del pane e del vino, e sacrificio, poiché il vino rappresenta il sangue che verrà versato: la chiarezza e la precisione del linguaggio di Cristo escludono intrinsecamente ogni significato metaforico, visto che il sangue della vittima unica e perfetta, egli stesso, identificato dal vino, sancisce la nuova alleanza di Dio con l'uomo, che completa ed attua quella stipulata con Abramo.
Gesù viene catturato al Getsemani, come aveva profetizzato, indicato come persona da arrestare dal bacio di Giuda Iscariota, ma invita alla calma ed alla rassegnazione chi lo vorrebbe salvare, e si presenta dinanzi al Sinedrio per ribadire che, morendo, salva l'umanità dai suoi peccati: questa affermazione viene usata come pretesto per condannarlo a morte mediante crocifissione. Esattamente come Gesù aveva predetto, Pietro lo rinnega tre volte in un giorno, lampante simbolo dell'umana debolezza che colpisce tutti gli uomini perché imperfetti e discendenti del peccatore Adamo; frattanto Giuda Iscariota si suicida, atrocemente pentito del suo gesto, adempiendo ad una profezia di Geremia.
Il governatore romano della Palestina Ponzio Pilato, fortemente indeciso sul da farsi, sceglie di lasciare che sia la folla accorsa per vedere il processo contro Gesù a deciderne le sorti, ripristinando per l'occasione l'uso israelitico di liberare un detenuto a Pasqua come atto di clemenza; Ponzio Pilato quindi propone la scarcerazione di Gesù o, in alternativa, quella del brigante Barabba, e la folla sceglie quest'ultimo. Non volendo assumersi pubblicamente la responsabilità della decisione, il governatore romano si lava le mani davanti a tutti per dimostrare metaforicamente che l'uccisione di Gesù, ovvero il sangue versato portato via dall'acqua purificatrice, non è da imputarsi a lui, bensì si tratta di un affare interno tra Israeliti, gestito dal Sinedrio e dallo stesso popolo, senza il coinvolgimento dell'Impero Romano.
Gesù si reca sul Golgota portando sulle spalle la stessa croce a cui verrà inchiodato, un doloroso percorso da cui è nato il rito pasquale Via Crucis, mentre la medesima folla inferocita che aveva scelto di non farlo scarcerare lo insulta con veemenza, lo fa oggetto di sputi e lo percuote, così come alcuni facinorosi continueranno a fare anche dopo la crocifissione. Già sulla croce, prima di morire Gesù chiede a Dio Padre perché l'ha abbandonato al suo triste destino, nell'unico istante nella sua vita di umana debolezza che rappresenta quanto la volontà degli uomini sia sempre condannata a momenti di cedimento o desistenza, soprattutto nei confronti di un profondo e perdurante impegno morale come la fede che spesso non sembra avere contropartite, almeno nell'immediato, o addirittura portare a terribili sofferenze. Un'esistenza caratterizzata dalla fede e dalla rassegnazione al martirio finale stava terminando, quando, narra il Vangelo, un violento terremoto sgretola i muri del tempio di Gerusalemme ed apre i sepolcri da cui escono i cadaveri: questo è il segnale che annuncia la morte di Gesù, , ma vuole essere anche un indicazione per tutti i suoi negatori dell'effettiva ascendenza divina, un fortissimo monito a tutti i suoi detrattori confermato, tre giorni dopo, da un altro sisma, dopo il quale un angelo va ad aprire il sepolcro di Cristo per mostrare a tutti che è vuoto, prova evidente della sua resurrezione, che egli stesso aveva ripetutamente annunciato mentre era ancora in vita. La vicenda si conclude con gli Apostoli che si radunano nel luogo indicato loro da Gesù prima di morire e ricevono l'ordine di viaggiare per il mondo, anche e soprattutto nelle terre dei pagani, per portare la lieta novella che egli per primo ha annunciato.
I Vangeli sono considerati Testi Sacri da tutte le confessioni che si richiamano al Cristianesimo, e trovano la loro sacertà principalmente nella sostanziale conferma del messaggio religioso contenuto nell'Antico Testamento, di cui paiono essere l'esplicazione pratica per l'uso quotidiano rispetto alle Leggi, talvolta criptiche, talaltra troppo scollegate dalla realtà, dei Padri, delle quali il messaggio di Gesù sembra essere la lettura ottimistica rispetto ai presagi di tradimento ed alla cupa severità del dettato veterotestamentario; inoltre, svariate profezie contenute nell'Antico Testamento indicano, anche se in maniera non facilmente e direttamente intelligibile, sia il percorso esistenziale di Gesù, che l'allontanamento da Dio dell'umanità, in particolar modo degli amministratori del culto, che esige un nuovo approccio popolare e fattuale alla religione, basato sull'esempio e sulle opere più che sulle parole, a volte vacue, dei sapienti. Questi rapporti di comunanza ed interazione narrativa tra Antico e Nuovo Testamento non sono la sola ragione che induce ad attribuire anche ai Vangeli, il valore di Sacre Scritture, difatti la stessa vita di Gesù è di per sé un fulgido esempio di santità, tale da far reputare come soprannaturale tutto il suo operato, peraltro raccontato dai Vangeli con puntualità e precisione, anche nei dettagli storici e geografici che permettono una collocazione spaziotemporale delle vicende narrate, conferendo loro un connotato di credibilità anche al di fuori degli aspetti meramente teologici. La vita di Gesù, inoltre, è talmente caratterizzata dalla coerenza, dalla misericordia e dalla pietà, da stimolare anche in chi non crede non poche adesioni, almeno ad alcune parti di essa, in primis ai valori di pace e giustizia che rendono i Vangeli bivalenti: la sfera teologica coerente e consequenziale agli altri Testi Sacri, e la sfera filosofica attinente alla realtà quotidiana ed attuale, in molti suoi aspetti, anche in epoche profondamente differenti da quella in cui sono stati scritti, rendendo così la devozione ancor più spontanea e partecipata, sulla scorta anche di un linguaggio semplificato e schematico, ricco di metafore, che consente una comprensione immediata del messaggio, senza ricorso a filtri ed intermediari.
Il martirio che gli stessi Apostoli hanno subito dopo la morte di Gesù, infine, è un altro fattore che condiziona la sacertà del testo evangelico, in quanto ribadisce il tema di fondo della fede, basilare in tutta la narrazione, estendendone l'applicazione anche ad eventi successivi alla vita del protagonista dei Vangeli stessi, e quindi tende a confermarne la correttezza complessiva e l'origine divina, poiché Gesù stesso aveva profetizzato tali sacrifici, e li ha collegati al disegno di salvezza universale nonché alla presenza in ogni epoca di negatori e feroci oppositori.
Walter Nicolosi
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