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In questo numero de L’Angolo del Webmaster la storica dell’arte e redattrice Antonietta Nista ci propone il sesto ed ultimo capitolo del suo approfondito lavoro di ricerca sulla figura dell’artista-non artista Maurizio Cattelan.
I numeri posti tra parentesi si riferiscono alle citazioni che si ritrovano poi nella bibliografia a fondo pagina con relativi autori e titoli. (I.D.)
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Il giudice di gara riapparve al suo banco, spossato, pallido e snervato dall’accidente.
L’accusa e la difesa si presero sotto braccio e si misero al centro dell’aula, di fronte al tavolo, in attesa che la sentenza fosse pronunziata.
“La situazione è alquanto strana. – debuttò l’arbitro - L’impossibilità di prendere una posizione precisa nei confronti dei fatti e di esprimere una sola opinione che sia una, dico, sulla colpevolezza o sull’innocenza dell’imputato mi coglie neanche troppo impreparato. La facilità con cui passa da una cosa all’altra dà l’impressione che non sia interessato a nulla e che rimanga indifferente a tutto. L’abbiamo visto osservarci mentre ci dibattevamo contro i muri bianchi e ovattati, fatti apposta per chi non è in grado di incassare i colpi bassi, quelli che arrivano quando meno te lo aspetti, consigliandoci di non abbassare la guardia. L’abbiamo agguantato mentre cercava di custodire segreti che non dovrebbero essere mai svelati.
Per questa ragione, deliziosi commensali, non mi sento nella condizione, tra l’altro scomoda, di pronunciarmi e delego a voi tutti l’arduo, quanto onorifico, compito di giudicare. Invito voialtri alla rettitudine e alla baldoria.”
Così dicendo, il giudice si alzò dal suo banco, rivelando, sotto la toga di raso, pantaloni di pelle nera aderentissimi, portati con stivaletti alti fino a metà polpaccio. Il tutto inghirlandato da una vivacissima t-shirt rosa salmone, scioccante.
La giuria borbottava, a volte strepitava, altre mormorava.
Con languida veemenza e con una certa furia, lo straordinario pretore si strappò dal groppone la sua preziosa tunica e la scagliò indosso al criminale che ne rimase torpidamente riparato.
Gambe incrociate e braccia conserte, quest’ultimo lasciò agli sguardi vacui dei presenti la sua sagoma ridicola: i gomiti nodosi e la testa lunga e ovale disegnavano un improbabile triangolo nero.
Uno dei giurati si staccò dal rumoroso gruppo e si avvicinò a quella strana composizione. Era una colombina minuta, dagli occhi spigolosi, severi e crudeli. Sollevò, sprezzante del pericolo e arrogante, le grandi ali del saio forense. Una nuvola d’aria, grossa di arguzia e austerità - BIDIBI -, le soffiò turbinosamente sul viso - BODIBI - , mentre il mantello si sgonfiava sul pavimento, esibendo, impietoso, il vuoto sottostante - BOO - : il briccone si era dissolto nel nulla, sparito, inghiottito dalla piastrella di granito nero su cui era seduto.
Tutti sgranarono gli occhi sbalorditi, increduli, incapaci di trovare una risposta e rivolgevano guardinghe occhiate accusatorie verso chi era sospettato complice di quella fuga.
Mentre ancora lo sbigottimento aleggiava nell’aula, risuonarono in lontananza echi di passi che martellavano sul corridoio verso il ponte levatoio, poi il crepitio di un portone antico e lo sbattere contro gli stipiti. Basta.
Ancora perso in ciance, il corpo dei giurati abbandonò quella sala confuso, stordito e, perché no, deluso. Compatto, si infilò nella finestra principale e spiccò il volo verso sud, visto che l’inverno si stava avvicinando.
Il nano e il giullare scoppiarono in un fragoroso pianto liberatorio e si spensero, annegati nelle loro stesse lacrime.
A Iano, rimasto solo, toccò di ripulire il campo, perciò munitosi di ramazza si mise a lavare la postazione dei giurì.
“Ah – spasimò nauseato – dove ci sono i piccioni, c’è cacca di piccione (36)!”
Mentre dondolava in un movimento dolce e ritmico, sentì un respiro trafelato alle sue spalle. Alì, altrimenti detto Frankie, la sentinella, era sudato, stanco e spossato. Si tamponò la fronte grondante con uno dei suoi bianchissimi guanti e bevve dell’acqua dal secchio di Iano.
Poi gli puntò l’indice contro mentre, estraendo il solito foglietto e l’abituale matita di ridicole proporzioni, domandò:
“Ma tu, l’hai visto?”
(36) M. Cattelan, “Interview with N. Spector,” in AA.VV. Maurizio Cattelan, op. cit.
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Antonietta Nista
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