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In questo numero de L’Angolo del Webmaster il critico d’arte e redattore Walter Nicolosi ci conduce attraverso le vicende che hanno segnato nel profondo la vita di Matilde Bassani-Finzi, senza tuttavia voler inopportunamente svelare il mistero aleggiante sul personaggio di Micòl, così come avrebbe voluto la volitiva donna, da sempre abituata a vivere in prima linea con inespugnabile discrezione. (I.D.)
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Matilde Bassani era nata a Ferrara l’8 Dicembre 1918 ed è deceduta a Milano il 1° Marzo 2009; a seguito dell’espulsione del padre, insegnante di tedesco, dal corpo docente delle scuole pubbliche con l’accusa di propaganda contro il regime di Benito Mussolini, mentre ancora frequenta il liceo classico di Ferrara, inizia la militanza antifascista, una passione politica vissuta in modo concreto e coerente, come dimostrano le assidue visite alle famiglie degli oppositori arrestati per distribuire cibo e denaro, nonché la detenzione e la diffusione di stampa clandestina, coadiuvata dallo zio materno Ludovico Limentani, cofirmatario del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
Dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938 che, tra i vari provvedimenti discriminatori, vietavano agli ebrei l’accesso alle scuole pubbliche, Matilde Bassani diviene maestra elementare presso la Scuola Israelitica di Ferrara, ma prosegue intanto la sua attività politica insieme ad alcuni colleghi, ragion per cui viene precettata per lavorare presso il Consorzio Agrario Provinciale come addetta alla preparazione di casse di patate da inviare in Norvegia, dentro alle quali inserisce messaggi scritti in inglese che descrivono con rigorosa meticolosità ciò che avviene in Italia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale viene ferita ed arrestata da una pattuglia di SS, e poi scarcerata il 25 Luglio 1943 dopo quarantatré giorni di prigionia, quindi aderisce al movimento partigiano nei gruppi del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, dedicandosi prevalentemente allo spionaggio, alla distribuzione di documenti falsi ed alla ricerca di rifugi sicuri per ebrei ed oppositori politici; di tale impegno dal 1943 al 1945 sono consultabili su Internet testimonianze autorevoli, alcune autografe, presso l’Archivio Matilde Bassani Finzi, curato dalla figlia primogenita Valeria Finzi, ove si possono leggere le lettere inviate e ricevute dalla madre in quel periodo, volantini di propaganda antifascista ed articoli giornalistici, a firma sua e del marito Ulisse Finzi, inerenti l’andamento degli eventi bellici e la progressiva liberazione nazionale, ma si possono visionare anche documenti e ricordi strettamente personali, come la carta d’identità ed altre tessere di riconoscimento ed appartenenza, nonché gli attestati che certificano l’opera svolta come partigiana.
Dopo la liberazione di Roma, avvenuta il 4 Giugno 1944, collabora con il Psychological Warfare Branch, reparto dell’esercito statunitense dedito alla guerra psicologica, e scrive articoli per Italia combatte ed Il partigiano, organi ufficiali di stampa del Comitato di Liberazione Nazionale destinati ad essere paracadutati nel territorio della Repubblica Sociale Italiana; laureata in Psicologia presso l’Università degli Studi di Padova, Matilde Bassani ha continuato anche nel secondo dopoguerra il suo impegno sociale, occupandosi di vedove di guerra, orfani e senzatetto, e, dopo il trasferimento di residenza a Milano, di problematiche connesse al rapporto tra genitori e figli.
Cugina dello scrittore Giorgio Bassani, è stata frequentemente identificata come la musa ispiratrice del personaggio di Micòl Finzi-Contini, coprotagonista del romanzo Il giardino dei Finzi-Contini, scritto dal cugino nel 1962 e vincitore in quello stesso anno del Premio Viareggio; interpellata sulle evidenti similitudini tra il personaggio letterario e la sua vita a Ferrara in età giovanile, Matilde Bassani non si è mai espressa nettamente in merito, lasciando intravedere un cauto possibilismo, sia per un senso di profonda discrezione personale che per la volontà di non dare una risposta conclusiva ad un quesito che, per primo, il parente scrittore non ha mai inteso chiarire, ponendolo quindi tra gli enigmi letterari che rimarranno irrisolti.
Le affinità tra la giovane studentessa e Micòl Finzi-Contini riguardano gli studi universitari fuori dalla natia Ferrara, anche se l’una a Padova e l’altra a Venezia, la passione per il tennis, per le corse in bicicletta e per le discussioni di letteratura, mentre non coincidono la volubilità e la costante propensione al dubbio del personaggio librario con la fermezza e la risolutezza della futura partigiana; tra le varie spiegazioni possibili di queste discrasie potrebbe esservi una differente interpretazione dell’indole della cugina da parte dell’autore del libro, poiché dietro ad un’attenta dissimulazione dovuta a discrezione e riserbo, la giovane Matilde sembrava aver compreso, in anticipo rispetto a molti suoi coevi, il tragico e crudele corso degli eventi per gli ebrei, non solo italiani, oltre all’imminente arrivo di una lunga e terribile guerra che avrebbe azzerato e sovvertito ciò che appariva come il saldo ed immutabile ordine mondiale allora vigente, opponendo anche parenti ed amici in uno scontro fratricida.
Tali considerazioni, inespresse per la necessaria abitudine ad agire in clandestinità, potevano invece non essere comprese, anzi fraintese, di fronte all’artificioso conformismo del contegno pubblico, recepito come spontaneo anziché imposto dalle contingenze storico-politiche che imponevano un lento, silenzioso e costante lavorio da celare dietro ad un’apparente noncuranza rispetto agli avvenimenti circostanti, mentre in realtà si tramutavano in azioni concrete ma non palesi, pervase da una radicata tensione morale, finalizzate alla costruzione di una società universale in cui la pace, la solidarietà e la fratellanza potessero essere i valori fondamentali ed imprescindibili per tutti i popoli.
Il romanzo Il giardino dei Finzi-Contini è stato trasposto cinematograficamente nel 1970 da Vittorio De Sica, vincendo l’Orso d’Oro al Festival Internazionale della Cinematografia di Berlino nel 1971, il David di Donatello ex aequo come miglior film nel medesimo anno ed il Premio Oscar come miglior lungometraggio straniero nel 1972, con Dominique Sanda nel ruolo di Micòl Finzi-Contini, ma Giorgio Bassani non ha mai condiviso la scelta degli sceneggiatori Vittorio Bonicelli ed Ugo Pirro di aggiungere, come epilogo della vicenda, un evento non presente nel libro, quello dell’incontro, dopo la cattura degli ebrei a Ferrara seguita dall’armistizio dell’8 Settembre 1943, di Micòl e sua nonna, separati dal resto della famiglia, con il padre del narratore che inizia a prendersi cura di loro prima della deportazione in un campo di concentramento nazista; tale accadimento vuole simboleggiare una riconquistata unità tra il narratore innamorato, tramite il padre, e l’amata Micòl, congiungendo affettivamente queste due persone, così vicine per molti anni, ma molto lontane, se non diametralmente opposte, nella percezione dei reciproci sentimenti e rapporti, e quindi dona un compimento ad una storia d’amore non corrisposto che invece Giorgio Bassani ha scientemente lasciato incompiuta, come metafora del percorso d’iniziazione dall’adolescenza all’età adulta che il protagonista del romanzo compie all’interno del complesso e sempre più drammatico contesto sociale in cui vive, ma nonostante esso riesce a garantirsi dei sempre più esigui margini di speranza che, se dapprima controbilanciano il progressivo deterioramento della situazione circostante, in seguito vengono annichiliti e non riescono più ad essere estranei agli eventi storici.
Sia Bassani che De Sica hanno racchiuso il rapporto affettivo tra i due studenti all’interno della villa dei Finzi-Contini, denominata Barchetto del Duca, inizialmente preclusa a tutti i non appartenenti alla famiglia proprietaria, eccetto i precettori ed i collaboratori domestici, ma successivamente apertasi a frequentatori non consanguinei sino a divenire un’area di libero ritrovo di alcuni giovani ebrei ferraresi per sfuggire alla ghettizzazione sociale imposta loro dalle leggi razziali, infine si tramuta in un luogo di sogni ed utopie in cui i muri perimetrali del giardino paiono escludere tutte le abiezioni del mondo esterno, riuscendo a trasformare il Barchetto del Duca in un microcosmo fiabesco, avulso dal tempo e dallo spazio, che fa ritornare il lieto passato in cui non esistevano discriminazioni, e rivitalizza quindi ciò che è stato ma non poteva più essere a causa della segregazione razziale a cui gli israeliti italiani erano sottoposti.
L’isolamento culturale ed ideale della dimora dei Finzi-Contini dal resto della città non riesce comunque ad evitare la tragica vicenda dell’annientamento di una famiglia che, tranne un suo componente vittima di un linfogranuloma, simboleggia l’Olocausto ebraico, nonché la definitiva ed insanabile interruzione di un percorso, morale ed intellettuale, che può essere nobilitato solo con la memoria e la rievocazione, forzosamente concluso da un doloroso destino vissuto sino all’ultimo istante con una metodica ed apparentemente quieta quotidianità, ed in tale alienante ignavia che dissimula rassegnazione pare situarsi l’autentica differenza tra Micòl Finzi-Contini e Matilde Bassani, poiché quest’ultima ha cercato, riuscendovi, di contribuire a modificare il contesto sociopolitico egemone, senza fatalismo, bensì con l’azione diretta e determinata per alleviare le sofferenze altrui e creare un assetto universale teso a rendere irripetibili le immani tragedie per cui il personaggio romanzesco perisce.
Walter Nicolosi
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